martedì 16 dicembre 2014

Orfani - Ringo n.3: Città Aperta


LORENZO BARBERIS.

Spoiler Alert, as usual.

La seconda stagione degli "Orfani" di Roberto Recchioni, l'innovativa serie a colori della Bonelli, è giunta alla terza puntata, mentre si parla ormai in rete di una terza e quarta stagione in cantiere.

Le vicende di questa seconda serie (qui, su Chinauti, la recensione del N.1) sono incentrate su Ringo, il Pistolero, uno degli "orfani" originari della prima serie, passato all'opposizione del regime futuro di cui ha scoperto gli inganni.

Nel primo numero della seconda stagione vi è stata la ripresa di un grande meccanismo narrativo teatrale, quello di Filomena Marturano (qui, sul mio blog personale, la recensione in cui spiego lo sviluppo della citazione) che di nuovo mette al centro della narrazione tre Orfani, di cui uno figlio di Barbara, leader della rivoluzione, e Ringo, che deve scoprire l'erede.

Se volete dettagli sul 2, niente è meglio dell'analisi del suo stesso autore, sul suo blog; il meccanismo narrativo resta centrale, per ora, nel terzo numero, continuando a usare la fantascienza come fondale teatrale per un dramma: "dramma shakespeariano", aveva detto Recchioni per la prima serie, mentre qui scomoda appunto De Filippo.



Continua anche la lontananza dal citazionismo "for the sake of it", quello anni '90 su cui, con ironia, aveva lavorato in John Doe (opera del resto complessa nel suo lungo sviluppo). Ma proprio questo calibramento più sapiente delle citazioni dà loro maggior forza, come la meravigliosa copertina di Emiliano Mammuccari che colpisce per la sua riscrittura della Pietà di Michelangelo, in una puntata dedicata a Roma e intitolata "Città Aperta".

La Roma del futuro di Recchioni (la città dell'autore, città intensamente vissuta e ragionata dallo stesso, specie nel suo denso blog, il principale nel fumetto italiano) è una stupenda decadenza, resa perfettamente da un Carlo Ambrosini la cui potenza visiva è esaltata dai colori di Giovanna Niro.

L'apertura di ogni numero della serie con un brano del fittizio libro "Il mondo dopo la fine" della dittatrice Jsana Juric rimanda ovviamente a Watchmen (la distopia mostrata nel primo capitolo della serie è molto debitrice del complottismo mooriano), e costituisce anche questa una delle novità di questa seconda serie rispetto al canone bonelliano.

L'inserto narrativo oltretutto è ripreso nel corpo del testo e vi si interseca a filo doppio (anche il lettering a macchina, in Times New Roman, è nuovo in Bonelli).

L'apparire dell'EUR e il rifiuto di Ringo di spiegarlo (p.10) rivela la volontà di citazioni che abbiano appunto valore nel corpo della storia, evitando ogni didascalismo.

A p. 14 si ribadisce l'irrilevanza di ogni spiegazione mostrando un mondo in cui le nuove generazioni ignorano perfino il senso del Colosseo (ritenuto dai nuovi orfani frutto dell'apocalisse nucleare del presnunto attacco alieno della prima serie).

Essi però non sono stupidi (specie Rosa, la mente dei tre), e colgono la verità che Ringo cerca di nascondere loro, il suo ruolo paterno (p.28).

Il resto della storia prosegue su meccanismi oliati al millimetro, con i luoghi di Roma che appaiono senza ombra di spiegazione, la devastazione materiale resa più inquietante dalla devastazione culturale.

La statua di Giordano Bruno (p.37) appare senza svelare il proprio volto: il monaco eretico, bruciato dalla chiesa e simbolo massonico della razionalità contro le tenebre della superstizione, è ormai perduto, e la statua, feticcio inutile, sembra quasi evocare le mortifere figure dei sopravvissuti che si aggirano nella città devastata.

Non mancano gli elementi defilippeschi, inseriti nella trama, con cui Recchioni gioca col lettore come il gatto col topo (e con una abilità, in questo, che stanti i diversi media raggiunge i livelli di Eduardo): prima ci mostra l'alta fitness in combattimento di Seba, portando noi, e in parte anche Ringo, a identificarlo come il figlio; poi Rosa mostra le stesse capacità (l'unico che ne pare escluso è Nué, che appare come l'elemento più debole).

Dopo Bruno, arriviamo al Vaticano, sostituito, ironia della sorte, da una nuova setta matriarcale. Tuttavia (e qui la chiusa con la cover è encomiabile) la setta venera la Pietà come simbolo, appunto, della pietas, della consolazione, valore perduto nel mondo futuro di Orfani.

Ovviamente, l'erede femminile del Papa viola poi subito i precetti che dice di osservare (a p. 80 Recchioni mostra di sapere azzardare molto, a livello di scrittura, per i canoni Bonelli ma non solo per quelli) mentre rischi simmetrici corrono gli altri due Orfani ad opera di un branco di predoni.

Lo scontro finale dell'albo, con uno dei Corvi, in particolare con quello della antica "Mocciosa", condizionata dal passato amore, e dall'attuale odio per Ringo, acquisisce forza e pathos dalla scelta di non mostrarlo al lettore.

Notiamo che questo scontro finale si pone in antifrasi con la copertina, dove la figura femminile della Pietas mariana è assunta da Mocciosa, posta però nell'atto di finire (con un atto di pietas?) Ringo agonizzante nelle sue braccia. Invece è Ringo a vincere lo scontro, ed è lui ad essere condizionato da quella che è, se non pietas, stanchezza dell'uccidere, del suo vecchio personaggio da Pistolero, da tutto (la splash page smarginata a p. 94 è spettacolare).

E anche l'ultima di copertina riesce a spiazzare e ad attrarre il lettore: il quarto numero, intitolato tautologicamente "Il Numero Quattro", fa pensare alla scoperta di un quarto orfano, un quarto possibile figlio. In copertina, il debole Nuè punta, con aria disperata, una pistola su un personaggio a terra (guardiamo la scena dalla sua prospettiva), mentre Ringo lo trattiene con una mano sul braccio.
Forse ad essere minacciato è il Quarto Orfano? Abbiamo un mese per prepararci a scoprirlo.

E nel n. 5, questo.

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