LORENZO BARBERIS
Spoiler alert
"Il sapore dell'acqua" (344) è il settimo albo del rinascimento dylaniato, il primo della seconda metà della "stagione"; il primo a non ricorrere ad alcun "effetto speciale", nemmeno nella copertina.
Una "storia pura come l'acqua": la continuità però evita il rischio evocato forse ironicamente dal titolo, di "andar giù come un bicchier d'acqua", tornando prima o poi a corrodere quel clima di interesse che si era creato.
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Lo smartphone campeggia in primo piano nella cover: probabile il riferimento a "Irma", che si è rivelata decisiva nelle ultime due storie, e che continua la sua discreta presenza nelle avventure dell'eroe, svolgendo un inquietante ruolo di controllo delle sue azioni per conto di John Ghost, assente ma presente in tal modo sullo sfondo.
Alla sceneggiatura di nuovo Gigi Simeoni, che si conferma la novità di questo nuovo ciclo.
La storia, benché "ordinaria", nel senso di priva di eventi eccezionali, si mostra più nel "nuovo corso" di quella precedente, che vedeva Simeoni autore completo. Oltre a Irma, troviamo infatti in un ruolo centrale Rania, l'assistente di Carpenter, meno ostile a Dylan Dog.
I due riappaiono insieme a p.13, dopo la prima serie di misteriosi delitti; ma è poi Rania ad essere centrale, trovandosi di fatto a svolgere il ruolo che in molte storie compete alla "fidanzata del mese", ovvero di offrire una sponda a Dylan nei suoi ragionamenti dell'indagine (Groucho è un controcanto troppo surreale, e appunto si è voluto evitare l'eccessivo aiuto di Bloch).
Il fatto che la tensione tra i due abbia qualcosa di sentimental-erotico ma non sfoci in una relazione vera e propria rende il duetto più interessante; ricorda, fatte le debite proporzioni, qualcosa della costante schermaglia di Julia con Webb nella serie bonelliana di Berardi, dedicata al noir.
E forse a Julia rimandano anche, volenti o meno, le tavole di Giorgio Pontrelli, al suo esordio sulla serie regolare a pochissima distanza dal Maxi Old Boy numero 23, dove aveva illustrato, se non erro, la storia di Marzano.
Segno pulito, chiaro, efficace, che sceglie una griglia non a mattoncino ma regolare, con sei vignette perfettamente squadrate o, al limite, unite a due a formare una vignetta più larga. Una concezione vicina a quell'idea di fumetto come "cinema su carta" teorizzata da Pratt ma ripresa molto - in chiave personale - da Berardi ed altri bonelliani eccellenti, non ultimo appunto Simeoni.
Anche il bilanciamento elegante di bianchi e neri e la signorilità del tratto rimanda per certi versi più a un distinto noir Julia-style; ma la cosa non stona sul tipo di storia. Se ovviamente l'horror di Dylan Dog comunemente si associa meglio alla preminenza del nero, in una storia dominata dall'acqua il predominio del bianco si lega perfettamente al tipo di paura che si vuol suscitare, l'horror vacui di un dolce naufragio in un oceano corrosivo del fisico e della mente.
All'eleganza dello stile dylaniato allude con ironia anche Simeoni, a p.25, dove fa dire al personaggio "dovrei dire Bingo, ma ho una mia dignità..." sfottendo il Dylan del vituperato film americano, detestato dai fan come la grande occasione perduta, che appunto usa questa banale espressione in occasione dei suoi ritrovamenti ("Jackpot!" nell'originale). Curioso in un albo che, come diremo tra poco, introduce una delle contestate "nuove esclamazioni".
La battuta segna in effetti la svolta, in cui si scopre la valenza "diabolica" del ciondolo di Rodio e Zolfo. Dylan ricorre a Safarà, di cui vediamo a p.32 una inedita versione giovanile (si fa per dire). "L'asta di 12 anni prima" rimanda, per alcuni forumisti, a quella del numero 200, che è in effetti 144 numeri, e quindi 12 anni prima di questo. In realtà ovviamente tutto questo nel senso molto "dylaniano" del passare del tempo, in quanto l'asta del 200 è in verità condotta da Hamlin, che vende, e non è invece nel pubblico "invisibile" come acquirente. Inoltre l'Hamlin disegnato è "giovane", mentre quello che incontra il giovane Dylan è già il vecchio senza età tipico della serie.
E poi l'attualizzazione sballa tutto il discorso temporale, in questo caso: le storie di Dylan oggi sono oggettivamente nel 2015 (smartphone alla Siri), mentre l'epoca di quella storia è chiaramente ai primi degli '80 (il terrorismo dell'IRA è in piena attività), quindi il salto sarebbe del doppio del tempo (tralasciando ovviamente il mancato invecchiamento dell'eroe). Ma dato che D.D. è sempre stata una serie sui paradossi spazio-temporali (dimensione oggi recuperata) ci può anche stare.
Simeoni torna a giocare con l'alchimia, come nel numero precedente: qui si inventa un alchimista ottocentesco in Hugo (Von) Heller, nome dell'editore di Freud. "Un Lapis Freudiano" dice Groucho, giocando sul Lapsus come Lapis, Pietra Filosofale (e in effetti per la cabalistica è la permutazione delle parole la vera alchimia).
Heller (che oltre alla citazione freudian-junghiana, è anche Hell-er, "abitante dell'inferno") vuole trasformare l'Acqua in Zolfo, in fuoco infero, acido corrosivo. Il simbolismo sulfureo appariva anche in Al servizio del caos, e in generale è un portato dei primi numeri che sta ritornando (presente, ad esempio, negli Uccisori). Muore comunque nel 1832, in un manicomio realmente esistente, e oggi museo.
Simeoni comunque dissemina degli indizi che fanno pensare che la soluzione si possa trovare "negli albi passati", con il riferimento di Dylan "non guardiamo su internet, meglio la mia biblioteca" e Groucho che sostiene "chiediamo a Martin Mystere". Molti rimandano ai due incontri, ai primissimi dei '90, tra i due detective occulti della Bonelli.
Tuttavia, appare probabile un riferimento a mio avviso al recente incontro nel Color Fest 12, "Eroi", dove Castelli faceva reincontrare i due con un classico "scambio di menti", e anche l'alchimista possiede in qualche modo la mente del discendente.
Curioso che in questa storia sia stata scoperta la nuova esclamazione di Dylan, "Hell's Bells!", citazione degli AC/DC che si collega al Bloody Hell! che già nel passato si associava al personaggio, invece di "Giuda Ballerino!", l'esclamazione storica. Sinceramente anch'io non mi ricordavo.
La cosa è resa più interessante dal fatto che il discendente di Heller, da lui mind-controlled, ricorda un precedente scontro con Dylan Dog. Un riferimento al Dylan del 1666, potremmo pensare, quello delle origini. Tuttavia Heller è un personaggio ottocentesco, nella sua prima incarnazione mortale: quindi troppo giovane per quel Dylan passato. Un altro elemento che va a sommarsi alla nascente continuity.
Mi viene da pensare però al "Museo del Crimine", dove appariva un Dylan investigatore in epoche passate, uno settecentesco, uno dell'Ottocento, uno degli anni '50 del Novecento. Proiezioni oniriche, volendo: ma che, nell'eterno gioco di specchi del Safarà dylanesco, possono divenire qualcosa di più.
In ogni caso un albo interessante, ancora interlocutorio ma con qualche maggiore elemento in continuity.
E comunque, come insegna il buon Bertoldo, morto ingerendo per errore un bicchiere del fatale H20 mai assaggiato in vita sua, per un (ex)alcoolista l'Acqua non può che essere un elemento diabolico e mortale.
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