lunedì 10 novembre 2014

Dylan Dog 337 - Spazio Profondo



LORENZO BARBERIS.

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura.
(Spoiler Alert)

E così siamo alla fase Due.

L'innovazione comincia dalla cover, potente ed essenziale.

Il diavolo è nei dettagli: cambia il logo di DD realizzato da da Luigi Corteggi nel 1986, rendendo l'ombra trasparente.

Nota di merito per il colore annunciato con la dovuta sobrietà, evitando l'effetto "pubblicità da hard-discount" che caratterizzava in passato gli strilli di copertina.



Evidente il senso di rinascita, evocato già nella fase uno da "Una nuova vita". Qui ora Dylan è nello spazio aperto, e affronta l'ignoto del futuro che si stende davanti a lui.


Come notato su vari forum, l'opera omaggia un dipinto di Flandrin del 1836, "Giovane in riva al mare". Un gioco di citazioni artistiche antico nel fumetto: la copertina del primo Superman  (1938) riprende l'Ercole del Pollaiolo. Un modo, in fondo, per ribadire con un "inside joke" che i fumetti sono arte.

Cambia anche la copertina interna. Il "quarto stato dei mostri" di Stano (che citava il piemontese Pellizza da Volpedo) è sostituito da una Golconda magrittiana riscritta in chiave dylaniata: dal cielo, invece di uomini in bombetta, calano copie di Dylan, di Groucho e dei principali mostri affrontati nella serie. 

Curiosamente, la cover di "Golconda!", l'albo 41, fu l'ultima cover di Claudio Villa, prima dell'avvento della lunga età di Stano (che continua tuttora).


Sclavi fornisce la sua "benedizione papale" con una stringata introduzione.

La storia d'esordio del nuovo Dylan è però firmata dal nuovo curatore Recchioni. 
Una storia fuori dalla continuity, vecchia e nuova; una  storia, del resto, da tempo in lavorazione, già pensata per Carnevale, in bianco e nero, e poi adattata al colore, per l'occasione, e a Nicola Mari.

La scelta di Mari forse è solo una scelta pragmatica, ma è fortemente simbolica. Carnevale era il disegnatore feticcio di Recchioni già da John Doe; Stano è l'ufficialità assoluta della serie, dal n.1 in poi. Mari invece esordisce su Nathan Never, prima serie di SF Bonelli, e arriva a Dylan Dog con "Phoenix" (1996), su testi di Sclavi, oltre le colonne d'Ercole del primo decennale, l'età dell'oro del personaggio. Egli firma poi, con "Il sorriso dell'oscura signora", quello che è forse l'ultimo grande capolavoro sclaviano, di recente giustamente ristampato.

Mari diventa quindi una delle nuove interpretazioni di Dylan, anche se non univocamente amate dal nucleo hardcore dei fans. Una scelta quindi di continuità, di ritorno alle origini, ma anche di rivendicazione della "seconda decade" della testata come comunque ricca di elementi validi.

Mari è perfetto nel Bianco e Nero, ma grazie all'apporto di Lorenzo De Felici, colorista di questo numero, riesce molto convincente anche nel colore, che per una volta mi sembra usato decisamente bene.

De Felici è il colorista del n.1 di Orfani, del resto, la serie di SF avviata da Recchioni per Bonelli (e giunta alla fine della prima stagione), e una certa vicinanza grafica (e contenutistica, anche) è innegabile.

Mari e De Felici, NN e Orfani: la scelta è quindi quella di una decisa sterzata verso la SF. Orfani è la serie di Recchioni lanciata l'anno scorso e appena conclusa quando questo DD 337 arriva in edicola: la grande innovazione Bonelli, la prima serie a colori (e la terza serie Bonelli per guadagni, dopo Tex e Dylan Dog, anche se non per vendite).

Appare quasi come se Recchioni, considerate le possibili obiezioni ansiose ed astiose di alcuni fan del personaggio, abbia voluto giocare di contropiede. Accusato di pensare a un Dylan "come Orfani", invece di dissimularlo l'ha fatto nel massimo grado possibile, forse proprio per fomentare la reazione degli haters che, come ogni "rockstar", riesce a suscitare in una parte del pubblico.

O, forse, maliziosamente, la vicinanza con Orfani di fatto viene bene a favorire un possibile travaso dai giovani lettori acquisiti con la testata di SF a colori verso l'ammiraglia tradizionale (anche il passaggio da Orfani a "Ringo" per la seconda serie sembra andare nella direzione di un "ritorno al bonelliano").

Altro aspetto su cui Recchioni pare giocare di provocazione è il ricorso massiccio alle citazioni, alcune evidenti, scontate e sottolineate con insistenza, altre dissimulate ma presenti. Il citazionismo è indubbiamente il marchio di fabbrica del Dylan Dog di Sclavi, ma Recchioni - che con il suo John Doe guardava inizialmente al citazionismo esasperato di Tarantino - qui lo accentua in un parossismo che pare, nuovamente, un detournement, tanto più che ultimamente l'autore ha dichiarato il suo disinteresse per il citazionismo in Orfani, in favore di un lavoro diretto sugli archetipi seminali, non mediato da una intertestualità fitta.

L'introduzione e il titolo citano Alien ("nello spazio profondo nessuno ti sentirà urlare..."), mentre 2001 è richiamato da Dylan / Starchild in copertina. "Solaris", la terza citazione dichiarata, era del resto filmicamente la "risposta sovietica" a 2001.

Non manca un rimando a Star Trek tramite il Test della Kobayashi (così si chiama la giovane tenente dall'aria nipponica che accoglie Dylan Clone) Maru: l'astronave da salvare è impossibile da recuperare, e per superare il test, in entrambi i casi, bisogna affrontare il problema con l'uso di lateral thinking.

Siamo dunque nei pressi dell'Oggetto di Hoag, quindi a 600 milioni di anni luce dalla terra. L'anno è il 2427; inizialmente Recchioni aveva pensato al 2727, poi ha voluto spezzare la simmetria. O, forse, per avvicinare l'evento all'incontro di Dylan Dog e Nathan Never del color fest "Eroi" avvenuto attorno al 2213.


In questo futuro la regina è Victoria XXIII (scritto erroneamente XXIIIa); dato che finora ne abbiamo avuta una, ce ne sono 21 nei prossimi 400 anni, cosa che comunque è tecnicamente possibile. La regina è richiamata per il suo rimando all'imperialismo inglese, che è continuato con successo nel futuro, creando un potente impero spaziale di (perfida) Albione.

Facile l'ipotesi metaletteraria: la corazzata spaziale che "può durare altri cinquant'anni" può essere la testata (non a caso più avanti "Dylan è morto nel XXI secolo", ci rivelano i militari: nemmeno Recchioni ambisce a superare le colonne del 2100...), i "cloni" inviati le nuove collane che Recchioni intende provare (nuova continuity principale, Old Boy, Pianeta dei morti, Bloch adventures e il Color Fest per le cose più sperimentali) stanche copie dell'originale, le "anime prigioniere" i lettori, ugualmente imprigionati nella narrazione.

Dei cinque cloni, il protagonista è l'Old Boy, ovviamente, mentre il clone-Doc Manhattan è forse il simbolo delle cose più sperimentali; il caposquadra, il N.1. rimanda a Nathan Never, coi capelli brizzolati e i modi bruschi, e potrebbe rimandare al Nuovo Corso. Il Dylan donna rappresenta il filone "sentimentale", alla Johnny Freak, mentre il Dylan Muscolare appare una parodia di quello emerso dal terribile film americano (che ha spinto la Bonelli a riprendere il controllo diretto delle trasposizioni).

Loo stesso Recchioni ha confermato tale analisi, che ricorda la metaletterarietà insistita del suo John Doe, specie nella quarta stagione.

La clonazione e manipolazione spregiudicata di Dylan Dog forse si ricollega anche al fatto che già oggi l'Inghilterra è unica in Europa a sperimentare su embrioni-chimera, con contaminazioni di DNA.

L'espediente dei cloni, tra l'altro, la rende una rara storia, di fatto, "senza Dylan", col precedente solo, de "L'assassino è tra noi", il 243 (nella storia breve "il vicino di casa", fuori dalla serie regolare, sentiamo Dylan solo fuori campo).

Il primo clone di Dylan che vediamo muore esclamando "Giuda Ballerino"; il nuovo esclama (come già Dylan era solito fare, e come Recchioni vuol riprendere, superando l'esclamazione "passatista") "Bloody Hell!" (del resto altrove, credo per la prima volta, si usa su DD "puttana" come esclamazione. Con l'adeguamento del linguaggio ci siamo).

Le astronavi sono dedicate alla Tatcher (la principale della storia, non a caso: per il rimando all'imperialismo, ma anche come citazione ricorrente nei primi Dylan), a Beckam, a Mick Jagger e con ogni probabilità a George Best, calciatore noto soprattutto per il noto aforisma: "Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci...il resto l'ho sperperato". Gli hanno già intitolato un aereo, stando a Wiki, quindi perché non uno Shuttle nel futuro?

Il Dylan clonato fedelmente e le sue variazioni vedono spettri del loro passato: Bloch che gioca sulla pensione, Bree Daniels, e un Groucho sviluppato magistralmente nella sua componente più horrorifica, un antico chiodo fisso di Recchioni che lo vede come uno degli elementi più inquietanti della serie.

Con una soluzione che rimanda a un racconto di King, l'iperspazio è l'inferno, e quando Dylan riesce a far esplodere il nucleo atomico e a spedire l'astronave in un buco nero, si trova coi compagni prigioniero all'inferno. Conclusione cupa e terrificante, che lancia inoltre una gradevole e inquietante ipoteca sul rinnovamento: potrebbe "essere tutto un sogno del clone".

Giovanni Scrofani, in tono critico, evidenzia come con questo finale unifichi, in teoria, i tre format standard per il rinnovamento di un fumetto: un cataclisma che fa ripartire da zero, una realtà alternativa o l'eliminazione di comprimari. Qui un cataclisma precipita Dylan Clone in una realtà alternativa dove, dal prossimo mese, il principale comprimario verrà pensionato (certo, Bloch resta, come si è ripetuto, ma il ruolo cambia, e di molto).

Da chiedersi infine come si interfacci questo con il futuro di Bilotta, che diverrà una serie spin-off sullo speciale, dove immagina il futuro trionfo dei morti viventi nel mondo alla Blade Runner già evocato da "Morgana" (25). Blade Runner e Alien del resto sono collegati da Ridley Scott anche tramite alcuni easter eggs. Anche in questo senso, quindi, la scelta di Spazio Profondo può dirsi azzeccata.

Un ultima considerazione finale, da fan di Scott McCloud: non ho trovato considerazione, in rete, sul fatto che lo spazio profondo del titolo, volendo, può essere anche quello della "closure" tra una vignetta e l'altra, la vera essenza vitale del fumetto per l'autore di "Understanding Comics". Uso della closure di cui, da sempre, Recchioni è un maestro (si veda, per esempio, p. 85-86).

E per concludere circolarmente,
il naufragar ci è dolce in questo mare.
Dove nessuno può sentirci urlare.

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